Il barattolo della calma nel mio stare dentro e fuori la Comunità, come persona e come educatrice

Questi sono giorni difficili, lunghi e dilatati. La dimensione del tempo sembra essere profondamente cambiata ma, in realtà, ciò che è cambiato è la percezione che noi abbiamo di essa .

Sino a poche settimane fa in Comunità il tempo sembrava non bastarci, era scandito da un fitto elenco di impegni che occupavano la vita di grandi e piccini.

E così si correva una velocità disumana dove il traguardo è sempre stato più importante del percorso.

Ma ad un certo punto arriva uno STOP che porta il nome di Sars-cov 2. Ecco che allora, smarriti e spaesati, ci fermiamo e ciò che emerge in maniera prepotente è l’angoscia, la paura per l’oggi e per il futuro. Emozioni con le quali il confronto è sempre complesso.

Ed è così che nelle mie intime riflessioni ho pensato al “barattolo della calma”, ispirato alla pedagogia montessoriana a cui più volte ho fatto riferimento nella mia pratica educativa.

Un barattolo speciale che contiene al suo interno del liquido blu e dei brillantini. Il suo compito è quello di intervenire dopo un momento di forte stress, di rabbia o di frustrazione riportando il bambino/individuo ad una condizione di equilibrio e autocontrollo ed offrendogli  la possibilità di poterlo fare da sé.

Ho dunque immaginato il “barattolo della calma” come un dispositivo di protezione per la psiche che tutti, grandi e piccoli, possiamo utilizzare subito dopo una tempesta emotiva per poter  aprire uno spazio di riflessione e, finalmente, osservare il percorso e non soltanto il traguardo.

Essere educatore, oggi, in una comunità per minori è sentire il peso della responsabilità maggiore. Un peso con il quale ti misuri tutti i giorni, all’interno del turno di lavoro ma specialmente all’esterno, nella tua intimità e individualità. E così, in quello spazio di riflessione che ritrovi dopo aver agitato il famoso barattolo, ti soffermi a pensare se il tuo agire è sufficiente per poter accogliere, osservare, ascoltare i bisogni dell’altro in un momento dove si fa fatica ad ascoltare i propri.

Sono gli occhi che incontro nel mio lavoro che mi danno la forza di andar avanti. Gli occhi di quei bambini e di quegli adolescenti ai quali ancora una volta è cambiata la vita e nuovamente viene richiamata in campo la loro capacità di resistere e adattarsi alla sfida che ci si è presentata, perché loro più di tutti sanno cosa vuol dire ristrutturare la propria esistenza.

E se l’adattamento alla mancanza della scuola, delle attività sportive , delle passeggiate al mare  può essere molto complicato ma possibile, l’assenza e la distanza dai tanto attesi incontri coi familiari diventa estremamente difficile da tollerare e, al contempo, diventa ancora più difficile “credere che ci sei, comunque sei, sei qui per me”.

E allora quel metro di distanza pesa come un macigno, perché vedi quegli occhi, agiti il barattolo e trasgredisci nel tempo di un abbraccio dove il tempo si ferma e credi e vuoi far credere che  “TUTTO ANDRÀ BENE”.

Annalucia Olmeo

Educatrice de La Casa sull’Albero

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