Essere un’assistente sociale presso i servizi sociali durante l’emergenza Covid-19?
Una domanda che quotidianamente mi pongo. Mi capita continuamente di riflettere sul mio ruolo professionale nella sua ottica tridimensionale, ossia con uno sguardo rivolto all’istituzione/organizzazione, uno all’individuo e al suo ambiente di vita e uno all’intera comunità.
Già la sola domanda è in grado di causare grandi mal di testa. Spesso, infatti, coniugare la visione e il rispetto della persona ad autodeterminarsi con la visione dell’istituzione o il rispetto delle leggi o dell’intera comunità non è certo semplice, come non è facile l’ascolto di azioni lesive dell’integrità di altri. Ma è il nostro ruolo. Ascoltare ed aiutare le persone ad affrontare il loro percorso di presa di consapevolezza e di cambiamento, fa parte del nostro lavoro. Ma per fare tutto questo è fondamentale il contatto umano che ogni giorno ci permette di provare a creare con la persona una relazione fiduciaria, utilizzando il nostro corpo, la nostra gestualità, il tono di voce, il muoverci nello spazio andando loro incontro, sfruttando lo sguardo, rispettando e gestendo i silenzi. Non sempre riusciamo, ma sicuramente facciamo tutto quello che è nelle nostre capacità per aiutare le persone a superare ogni difficoltà possano incontrare nella loro vita.
Come coniugare tutto questo con il nuovo lavorare in emergenza coronavirus e come cambia il nostro lavoro?
Il quotidiano fatto di colloqui, riunioni di équipe, visite domiciliari, relazioni, registrazioni non esiste più. Ora arrivi in ufficio e vedi i colleghi, anche loro con mascherine e guanti, con gli sguardi tristi che tengono rigorosamente le distanze fisiche, impossibile percorrere il corridoio insieme. I cittadini che regolarmente accedono al servizio non possono entrare nella sede e quindi?
Il lavoro cambia ogni momento, ora ci occupiamo di sostenere chi ha avuto gravi disagi a causa del coronavirus. Storie di giornate faticose da affrontare con la paura più grande di non sapere come pagare le bollette, avere da mangiare per i propri figli, di chi fino al giorno prima era un lavoratore regolare e ora è improvvisamente privo di reddito, un imprenditore di colpo senza guadagni, un anziano solo, impossibilitato a ritirare le ricette dal proprio medico e potersi acquistare i farmaci e così via. Ti attivi, reperisci tutte le risorse che hai sempre avuto, i volontari, le associazioni ecc. Insomma non smetti di occuparti dei diritti di ogni individuo, solo che lo fai al telefono, perdendo però la caratteristica fondamentale del nostro lavoro, il contatto diretto con le persone, sapendo che tornerai a guardarle negli occhi non avendo paura di affrontare le difficoltà al loro fianco.
Giovanna Piana, assistente sociale